lunedì 31 marzo 2008

Succo di mora

Un fruscio.
Katarina si girò di scatto.
Silenzio.
Riprese a camminare, tenendo gli occhi bene aperti per le more o altri frutti di bosco. A Tobey avrebbero fatto piacere.
Un altro. Fruscio.
Per lo spavento lasciò cadere il cestino con i frutti, uno dei quali si spappolò giusto al centro della gonna bianca. Sua madre l’avrebbe uccisa. E per cosa, poi? Una qualche sottospecie di topo selvatico?
Maledizione. Si, anche se imprecare era vietatissimo, maledizione.
Raccolse il cestino e si avviò nuovamente nel sottobosco.
Succo di mora su una foglia. Mora spappolata. Ridacchiò, intingendo l’indice nelle goccioline di succo e portandoselo alle labbra.
Mora.
Succo di mora.
Mora.
Succo. Tanto succo. Troppo?
Rise dimentica di tramonti e vestiti macchiati, di suo fratello e di sua madre, dimentica di suo padre vecchio e saggio (e sordo e zoppo). Rise e intinse ancora il dito.
Senza guardare lo intinse nella carotide squarciata di una bambina, la cui veste bianca era diventata ormai rossa.
I grandi occhi scuri di Katarina si dilatarono e lei prese a tremare, sempre suggendosi il dito rosso.
Poi si riscosse e si girò, diretta a casa nella luce del tramonto.
Aveva sporcato la sua veste bianca, e la stoffa era molto rara. Ogni ragazza sa che c’è sempre una punizione.

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